[Soci SLIP] Software libero, la Pa risparmierebbe 675 milioni

Alex Palesandro palexster a gmail.com
Dom 10 Giu 2012 21:23:38 CEST


Che tristezza.

2012/6/10 Enrico Agliotti <enrico.agliotti a gmail.com>:
> ecco l'articolo che in questo momento apre il sito del fatto quotidiano (!):
>
> http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06/10/con-software-libero-pubblica-amministrazione-risparmierebbe-675-milioni-ma-losservatorio/258976/
>
>
> Software libero, la Pa risparmierebbe 675 milioni. Ma l’osservatorio è
> senza risorse
> L'ultimo bando per acquistare programmi proprietari di Microsoft è di
> 40 milioni. "Eppure nel 90% dei casi basterebbe un software gratuito".
> L'ex ministro Brunetta ha ridotto a un solo addetto l'Osservatorio
> sull'Open source. Monti ha inserito nella manovra “Salva Italia”
> l’obbligo per la Pa di “considerare” anche il software libero tra le
> scelte possibili. Ma non quello di adottarlo nel caso effettivamente
> convenga
>
>
> di Thomas Mackinson | 10 giugno 2012Commenti (54)
>
> Più informazioni su: Brunetta, Governo, Microsoft, open office, open
> source, software proprietari.
>
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> 47
> Un assegno da quaranta milioni di euro da Roma a Redmond. Forse
> l’impegno di spesa più sostanzioso di tutti i tempi per fornire le
> pubbliche amministrazioni italiane di software Microsoft. La gara,
> indetta con procedura telematica a maggio, scadrà il 18 giugno e
> dall’aggiudicazione in poi gli enti potranno aderire acquistando
> licenze d’uso che valgono un anno. Nel 2013 saranno da capo. E non è
> l’unica campagna acquisti in corso. Fujitsu si è appena aggiudicata la
> fornitura di 40mila licenze Office per 12,6 milioni di euro. Basta una
> rapida ricognizione sulla Gazzetta Ufficiale per scoprire come ogni
> ente pubblico dello Stato italiano, centrale o periferico, sia
> impegnato in una qualche gara per comprare software proprietario. Un
> fiume di denaro pubblico che, in un momento di ristretezze come
> questo, non può che riportare in auge il tema dell’open source, il
> codice sorgente libero e quasi gratuito.
>
> Se ne parla dalla fine del secolo scorso, ma la strada per adottarlo è
> ancora tutta in salita. Gli enti locali lo hanno fatto in modo
> marginale (database, Open-Office, Csm…) e a macchia di leopardo; le
> Regioni hanno varato leggi e leggine, ma non ce n’è una che abbia
> fatto una seria politica di migrazione al software libero. A livello
> centrale è pure peggio: i governi degli ultimi anni hanno smantellato
> quel poco che si era mosso sulla strada del software libero. Così,
> insieme al tema dello spreco, inizia a imporsi quello del mancato
> sviluppo di un’intera industria nazionale che poteva essere
> rilevantissima in termini di occupazione. Insomma, lì ci sarebbe
> lavoro per chi lo vuol vedere. “Ma la politica è miope”. Lo denunciano
> le principali associazioni attive sui temi dell’open source e open
> data, da Agorà digitale all’Associazione Nazionale Informatici
> Pubblici e Aziendali (Anipa).
>
> “Il software libero – sostiene Luca Nicotra, segretario di Agorà
> Digitale – avrebbe un impatto decisivo sull’economia locale
> dell’innovazione, farebbe lavorare professionisti e imprese che oggi
> di fatto non hanno un mercato e non lo avranno fino a quando le
> politiche nel settore pubblico saranno orientate al software chiuso
> proposto da grandi e influenti produttori con relazioni consolidate,
> rapporti pluriennali con amministrazioni centrali e periferiche.
> Alcuni governi pensano che dobbiamo riprendere questo controllo e dare
> la possibilità al paese, alle industrie locali, ai giovani
> programmatori di poter avere un ruolo nello sviluppo tecnologico.
> L’Italia su questo fronte non ha una sua visione e rischia di essere
> una centrale per gli acquisti a beneficio dei soliti noti, siano essi
> Microsoft, Ibm, Oracle o altri”.
>
> Rincara la dose Flavia Marzano, presidente degli Stati Generali
> dell’Innovazione, docente universitaria e consulente in materia di
> nuove tecnologie in Pubblica Amministrazione: “Quei 40 milioni sono la
> punta dell’iceberg perché le amministrazioni acquistano di tutto e di
> più, anche quando l’alternativa è disponibile gratuitamente.
> Scandaloso il caso delle licenze di Office che gli enti locali
> continuano a comprare spendendo 30 milioni di euro quando c’è il
> corrispettivo Open Office”.
>
> Secondo l’esperta la PA non ha bisogno di software proprietario “se
> non per un 10% di applicativi custom molto specifici venduti con
> licenza. Nel 90% dei casi, dal data base ai software di produttività
> personale e operativo non hanno bisogno. Il punto è che da troppi
> anni, da troppi governi, non sono state definite strategie a lungo
> termine per l’innovazione del Paese e questo anche per lo strapotere
> delle lobby che hanno in mano il mercato senza che nessuno controlli e
> metta loro un freno”. Il tema sarà dibattuto ampiamente nella VI
> Conferenza italiana sul software libero in programma all’Università di
> Ancona il 21 giugno.
>
> Il dato di fatto, insomma, è che l’open source è rimasto al palo.
> Eppure gli esempi positivi, di innovazione e risparmio, in questi anni
> non sono mancati. Nel 2009 la Provincia di Bolzano ha adottato il
> software libero in un’ottantina di scuole pubbliche: spendeva in
> licenze 269mila euro l’anno, ora ne spende 27mila in manutenzione. Si
> calcola che se la stessa cosa facesse la Regione Sicilia si otterrebbe
> un risparmio annuale di 10 milioni di euro. Ma anche su questo fronte
> poco si muove. Toscana, Veneto , Piemonte, Umbria e Lazio hanno varato
> leggi regionali per agevolare l’adozione del software libero che sono
> rimaste sulla carta, dichiarazioni di intenti dal valore più simbolico
> che programmatico. “Io stessa ho partecipato all’iter che doveva
> portare Soru in Sardegna e Vendola in Puglia a una migrazione. Due
> fallimenti completi. Una volta riempito il cassetto di studi, anali e
> proposte è stato chiuso”, spiega la Marzano.
>
> Nel frattempo a livello nazionale è successo qualcos’altro. I governi
> degli ultimi anni non hanno investito nulla sull’open source. Peggio,
> hanno addirittura smantellato quel poco che era stato messo in campo
> per promuoverne conoscenza e diffusione. Nel 2003 è stato istituito
> l’Osservatorio sull’Open source per catalogare i programmi senza
> licenza utili alle amministrazioni. L’Osservatorio è poi stato ridotto
> dal ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta a un ufficio
> senza fondi. Oggi esiste ancora, ma da due anni ha un solo addetto.
> “Mettiamo che ci sia un amministratore illuminato – ipotizza la
> Marzano – che voglia davvero smetterla di sprecare soldi pubblici in
> licenze, dove trova le alternative? Non c’è più un repository
> nazionale o un centro di competenza cui chiedere. Così, ogni
> amministrazione fa piccoli passi avanti per proprio conto, mentre la
> crescita dell’open source condiviso e scambiato sarebbe esponenziale”.
> Il “nuovo Codice dell’amministrazione digitale” di Brunetta non cita
> neppure la parola. Di open source non c’è traccia neppure nelle note.
> Una scelta sorprendente visto che lo stesso sito dedicato a spiegare
> la Riforma Brunetta è stato realizzato col cms open source Drupal.
>
> Il risultato dell’abbandono è che, ad oggi, non si sa neppure quanto
> globalmente spenda il nostro paese come cliente di licenze
> proprietarie e quanto ricorra invece al software con codice sorgente
> libero e gratuito. I dati sull’acquisto, come detto, sono spersi in
> mille rivoli. Assinform nel 2003 stimava una spesa globale in Ict pari
> a 3 miliardi di euro (1,7 per quella centrale, 1,2 per la periferica)
> di cui circa 675 milioni in software con licenza. Statistiche più
> aggiornate non ce ne sono. Ed è paradossale perché proprio l’Istituto
> nazionale di statistica (Istat), da cinque anni a questa parte, è
> progressivamente migrato verso l’Open Source con un risparmio che il
> responsabile dello sviluppo software Carlo Vaccari stima pari al 50%.
> Nel 2003 Istat spendeva 1,2 milioni di euro l’anno in software
> proprietario, oggi spende meno della metà e sviluppa in proprio gli
> applicativi e i sistemi open di cui ha bisogno.
>
> Anche il governo tecnico di Mario Monti, è l’opinione degli esperti,
> si è rivelato piuttosto “timido” nei confronti del software libero,
> anche se molti ricordano la battaglia tra l’allora commissario europeo
> e il gigante Bill Gates finita con una multa da 500 milioni di dollari
> per il magnate di Redmond. Da premier, Monti ha cambiato strada. Su
> pressione del radicale Marco Beltrando, che ha fatto passare un
> apposito emendamento in Senato, il capo del governo ha inserito nella
> manovra “Salva Italia” l’obbligo per la PA di “considerare” anche il
> software libero tra le scelte possibili (articolo 29-bis). Ma non
> quello di adottarlo nel caso effettivamente convenga. Una misura a
> metà, insomma. A esprimere quel parere è l’Ente nazionale per la
> digitalizzazione della Pubblica Amministrazione (Digipa). Il suo
> presidente, Francesco Beltrame, non fatica ad ammettere che l’open
> source è ancora “una scelta marginale, tanto da non fare statistica”.
>
> Anche l’Agenda Digitale promessa da Monti è in alto mare. Annunciata
> trionfalmente come decreto “DigItalia”, doveva essere inserita nelle
> liberalizzazioni di febbraio ma è slittata a fine giugno e
> probabilmente sarà sul tavolo del governo ad agosto e nella forma di
> una serie di linee guida e niente di più. “Sono intervenuta nella
> commissione che si occupa di open data – racconta la professoressa
> Marzano – e penso che sul fronte dell’open source non ci sia ancora la
> forza e la volontà politica di bloccare la corsa agli acquisti che
> semplifica la vita ai burocrati e rende felici le grandi imprese del
> software.
>
> La strategia è tirare alla lunga anche se proprio un governo di
> tecnici come questo dovrebbe capire al volo che l’investimento
> nell’open source è strategico: magari all’inizio la migrazione costa
> nella formazione per i dipendenti, per far transitare gli applicativi
> e dati, ottimizzare i programmi. Ma è lampante che, fatto questo
> investimento, presto o tardi lo Stato arriverà al pareggio, da un
> certo punto in poi inizierà a fare risparmi incalcolabili. Per non
> parlare dell’indotto che una seria migrazione avrebbe sull’economia
> locale, dando uno sbocco a imprese e professionisti del software
> artigianale che oggi in Italia ci sono ma operano ai margini”.
>
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