[Soci SLIP] Rodotà sulle leggi contro internet

Enrico Agliotti enrico.agliotti a gmail.com
Gio 17 Dic 2009 16:41:50 CET


Ennesimo tentativo di controllare internet, che palle, ma questi non
dovrebbero pensare a far funzionare il paese invece di occuparsi di
stupidaggini?
Ecco il commento di Stefano Rodotà sull'argomento.


L'ANALISI
Le leggi per la Rete
di STEFANO RODOTÀ

L'ITALIA ha scoperto la Rete. Appena ieri era divenuta evidente per
tutti la forza di Internet quando proprio da lì era partita
l'iniziativa che era riuscita a portare in piazza un milione di
persone per il "No B Day".

Si materializzava così una dimensione della democrazia inedita per il
nostro paese. Pochi giorni dopo quell'immagine appare rovesciata.
Internet diventa il luogo che genera odio, secerne umori perversi. E
questa sua nuova interpretazione travolge quella precedente: il "No B
Day" è presentato come un momento d'incubazione dei virus che
avrebbero reso possibile l'aggressione a Berlusconi, Internet come lo
strumento in mano a chi incita alla violenza.

Conclusione: la proposta di un immediato giro di vite per controllare
la Rete, secondo un abusato copione che trasforma ogni fatto
drammatico non in un imperativo a riflettere più seriamente, ma in un
pretesto per ridurre ogni questione politica e sociale a fatto
d'ordine pubblico, limitando libertà e diritti.
Per fortuna, all'interno dello stesso mondo politico è stata subito
colta la pericolosità di questa impostazione. Intervenendo alla Camera
dei deputati, Pier Ferdinando Casini ha detto parole sagge: "Guai a
promuovere provvedimenti illiberali. Le leggi già consentono di punire
le violazioni. Negli Usa Obama riceve intimidazioni continue su
Internet, ma a nessuno viene in mente di censurare la Rete". E la
finiana fondazione FareFuturo evoca la "sindrome cinese", la
deliberata volontà di impedire che Internet possa rappresentare uno
strumento di democrazia. Questi moniti, insieme a molti altri,
sembrano aver trovato qualche ascolto, a giudicare almeno dalle
dichiarazioni più prudenti del ministro Maroni.

Il tema della violenza è vero, e grave. Ma altrettanto ineludibile è
la questione della democrazia. È istruttivo leggere la lista dei paesi
che sottopongono a controlli Internet: tutti Stati autoritari o
totalitari (con una particolare eccezione per l'India). Questo vuol
forse dire che i paesi democratici sono distratti, che si sono arresi
di fronte all'hate speech, al linguaggio dell'odio? O è vero il
contrario, che è maturata la consapevolezza che la democrazia vive
solo se rimane piena la libertà di manifestare opinioni, per quanto
sgradevoli possano essere, e che già disponiamo di strumenti adeguati
per intervenire quando la libertà d'espressione si fa reato nel nuovo
mondo digitale?
Vi è una vecchia formula che ben conoscono coloro i quali si occupano
seriamente di Internet: quel che è illegale offline, è illegale anche
online. Tradotto nel linguaggio corrente, questo vuol dire che
Internet non è uno spazio privo di regole, un far west dove tutto è
possibile, ma che ad esso si applicano le norme che regolano la
libertà di espressione e che già escludono che essa possa essere
considerata ammissibile quando diventa apologia di reato, istigazione
a delinquere, ingiuria, minacce, diffamazione. Questo è il solo
terreno dove sia costituzionalmente legittimo muoversi, e le
particolarità di Internet non hanno impedito alla polizia postale e
alla magistratura di intervenire per reprimere comportamenti illegali.
Le conseguenze di questa impostazione sono chiare: no alla censura
preventiva, comunque incompatibile con i nostri principi
costituzionali; no a forme di repressione affidate ad autorità
amministrative o riferite a comportamenti non qualificabili come
reati; no ad accertamenti e sanzioni non affidati alla competenza
dell'autorità giudiziaria.

Considerando più da vicino le peculiarità di Internet, bisogna essere
ben consapevoli del fatto che le proposte di introdurre "filtri"
all'accesso a determinati siti sollevano un radicale problema di
democrazia. Chi stabilisce quali siano i siti "consentiti"? Qual è il
confine che separa i contenuti liberamente accessibili e quelli
illeciti? Il più grande spazio pubblico mai conosciuto dall'umanità
rischia di essere affidato, all'arbitrio politico, che inevitabilmente
attrarrebbe nell'area dei comportamenti vietati tutto quel che si
configura come dissenso, pensiero minoritario, opinione non ortodossa.
E la proposta di vietare l'anonimato in rete trascura il fatto che
proprio l'anonimato (peraltro ostacolo non del tutto insuperabile nel
caso di veri comportamenti illeciti) è la condizione che permette la
manifestazione del dissenso politico. Quale oppositore di regime
totalitario potrebbe condurre su Internet la sua battaglia politica,
dentro o fuori del suo paese, se fosse obbligato a rivelare la propria
identità, così esponendo se stesso, i suoi familiari, i suoi amici a
ogni possibili rappresaglia? Non si può inneggiare al coraggio dei
bloggers iraniani o cubani, e denunciare le persecuzioni che li
colpiscono, e poi eliminare lo scudo che, ovunque, può essere
necessario per il dissenziente politico. Anche nei paesi democratici.
È di questi giorni la denuncia di associazioni americane per la tutela
dei diritti civili che accusano le agenzia per la sicurezza di
controllare reti sociali come Facebook e Twitter proprio per
individuare chi anima iniziative di opposizione. Non è la privacy di
chi è in Rete ad essere in pericolo: è la sua stessa libertà, e dunque
il carattere democratico del sistema in cui vive.

Certo, i gruppi che su Facebook inneggiano a Massimo Tartaglia turbano
molto. Ma bisogna conoscere le dinamiche che generano queste reazioni,
certamente inaccettabili, ma rivelatrici del modo in cui si sta
strutturando la società, che richiede attenzione e strategie diverse
dalla scorciatoia repressiva, pericolosa e inutile. Inutile, perché la
Rete è piena di risorse che consentono di aggirare questi divieti.
Pericolosa, non solo perché può colpire diritti fondamentali, ma
perché spinge le persone colpite dal divieto a riorganizzarsi, dando
così permanenza a fenomeni che potrebbero altrimenti ridimensionarsi
via via che si allontana l'occasione che li ha generati.
Solo una buona cultura di Internet può offrirci gli strumenti
culturali adatti per garantire alla Rete le potenzialità democratiche
continuamente insidiate al suo stesso interno da nuove forme di
populismo, dalla possibilità di creare luoghi chiusi, a misura proprie
e dei propri simili, negandosi al confronto e alla stessa conoscenza
degli altri. Più che misure repressive serve fantasia, quella che
induce gruppi in tutto il mondo a chiedere un Internet Bill of Rights
o che ha spinto uno studioso americano oggi collaboratore di Obama,
Cass Sunstein, a proporre che i siti particolarmente influenti per
dimensioni o contenuti debbano prevedere un link, una indicazione che
segnali l'esistenza di siti con contenuti diversi o opposti e che
permetta di collegarsi a questi immediatamente.

-- 
Enrico Agliotti
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